Il PNRR è un trampolino di lancio per i progetti in ottica smart city, ma i comuni devono saperne approfittare.
Di smart city sentiamo parlare da anni come di un modello ideale di città digitalizzata, sostenibile e accogliente. Grazie al PNRR i Comuni italiani potranno avvicinarsi all’obiettivo, intervenendo sul trasporto pubblico, sull’edilizia, sulle infrastrutture, sulle aree in degrado e non solo. Le città sono infatti tasselli indispensabili per il completamente della twin transition green e digitale, a maggior ragione se è vero che entro il 2030 il 70% della popolazione mondiale vivrà in città. Cosa promette il PNRR alle aspiranti smart city?
Le smart city nel PNRR
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina più di 10 miliardi di euro alla rigenerazione urbana, alla digitalizzazione e alla transizione sostenibile delle città, ma in realtà i fondi riconducibili a interventi in ottica smart city sono molti di più. L’evoluzione intelligente delle città si compone infatti di una miriade di fattori, variamente affrontati da tutte le missioni del PNRR.
Nella Missione 1 vengono stanziati 40 milioni per la MaaS (Mobility as a Service), che rende la mobilità un servizio superando l’idea dei mezzi di proprietà. Nella Missione 2 invece sono 9 i miliardi destinati al rinnovamento del trasporto pubblico locale, leggero, elettrico e veloce, per diminuire il numero di auto personali in circolazione. Poi c’è il comparto dell’edilizia sostenibile: agli smart building, che comporranno le smart cities del futuro, e all’efficientamento energetico degli edifici sono indirizzati 15 miliardi. 4 miliardi sono specificamente destinati alle smart grid. Infine ci sono i progetti di rigenerazione urbana, per rendere le città più abitabili proprio a partire dalle loro aree più fragili. Nell’ambito della Missione 5 sono 2,5 i miliardi impiegati a tal scopo.
Una ricerca appena presentata dall’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano al convegno “Smart City, le città al centro della ripartenza” ha sondato l’interesse dei Comuni italiani rispetto ai fondi del PNRR destinati alle smart city e le loro priorità di spesa e investimento.
Cosa vogliono i comuni
All’aumentare della consapevolezza rispetto ai risultati da raggiungere in ottica strategica per creare città pronte ad accogliere grandi numeri di abitanti, sono cambiate anche le priorità delle città, oggi decisamente orientate sulla digitalizzazione e sulla transizione ecologica. Nell’ultimo triennio il 28% dei comuni italiani ha sviluppato almeno un progetto smart, percentuale che sale al 50% se si considerano i comuni con più di 15mila abitanti. La metà dei progetti avviati si trova già in fase esecutiva e riguarda soprattutto la sicurezza, la smart mobility e l’illuminazione pubblica.
Un ulteriore 33% dei comuni ha in programma di investire in direzione smart city nei prossimi 3 anni, sfruttando naturalmente anche i fondi del PNRR. Tra i comuni coinvolti nell’intervista il 69% ha dichiarato di volervi ricorrere (il 26% non lo sa ancora). I fronti prediletti sono la digitalizzazione e innovazione (76%), le infrastrutture sostenibili (61%) e la transizione ecologica (56%). Seguono inclusione e coesione (42%), istruzione (7%) e salute (6%), tutti fattori indispensabili per l’edificazione di smart cities sostenibili. Un programma di investimenti che non può però prescindere «dalla definizione di un quadro chiaro degli obiettivi, dalla condivisione di buone pratiche e dalla collaborazione degli operatori e delle amministrazioni a tutti i livelli – spiega Luca Gastaldi, il responsabile scientifico del Tavolo di Lavoro Smart City del PoliMi. Bisogna fare tutto il possibile per cogliere appieno le opportunità generate dai fondi del PNRR».
Le difficoltà
Una visione chiara e la disponibilità ipotetica di fondi purtroppo non bastano. Tra gli ostacoli che rischiano di impedire a molti comuni italiani di sfruttare i fondi del PNRR per diventare smart city ci sono, in ordine:
- carenza di competenze e di personale amministrativo e tecnico (47% dei comuni)
- mancanza di risorse economiche (43%)
- complessità burocratiche (24%)
- difficoltà nel coordinarsi con altri soggetti (14%)
- resistenze interne (9%)
C’è purtroppo ancora un abisso tra i comuni più grandi (con più di 15mila abitanti) e quelli più piccoli, per i quali è più complesso dotarsi di soluzioni smart. Tra tutte la data analysis, presupposto indispensabile per una città intelligente e connessa. Il problema, in questo caso, sta però anche a monte. Solo il 40% dei comuni più piccoli considera rilevante il tema smart city, contro l’80% dei comuni più grandi. Tanto che nel 72% dei grandi comuni c’è un referente per la smart city, mentre tra i comuni piccoli c’è solo nel 31% dei casi.
La carenza in quest’ultimo dato è preoccupante perché il personale dovrà «seguire i progetti in tutto il loro “ciclo di vita”, dall’uscita del bando alla loro implementazione. Un fattore che potrebbe incidere negativamente sui tempi di esecuzione e sui risultati degli interventi», chiarisce Gastaldi. Il rispetto dei tempi e il monitoraggio dei risultati sono infatti indispensabili per incassare i fondi PNRR, a livello nazionale così come a livello comunale.