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La transizione sostenibile dell'edilizia passa anche dalla riqualificazione antisismica, per rendere più sicuri gli edifici.

Riqualificazione antisismica: perché è necessaria?

La transizione sostenibile dell’edilizia passa anche dalla riqualificazione antisismica, per rendere più sicuri gli edifici.

Se c’è una parola d’ordine per la transizione ecologica dell’edilizia, è: riqualificazione. Il grande problema dell’edilizia europea e italiana in particolare è la sua obsolescenza, non solo per quanto riguarda le prestazioni energetiche e la tecnologia, ma anche rispetto alla sicurezza che garantisce a chi la vive o frequenta. Tra le misure più urgenti da prendere in tal senso ci sono quelle di riqualificazione antisismica, con adeguamenti strutturali che rendano gli edifici in grado di resistere ai terremoti causando danni minimi alle cose e alle persone.

La vulnerabilità sismica

La vulnerabilità sismica è il potenziale di danno di un edificio a causa di un evento sismico di una data intensità. Una delle principali cause di decesso o ferimento durante un terremoto è infatti il crollo degli edifici. Per ridurre la perdita di vite umane e i danni materiali conseguenti ai terremoti, la vulnerabilità sismica degli edifici deve perciò diminuire. Le leggi che regolano questo aspetto dell’edilizia nelle zone sismiche oggi stabiliscono in particolare che gli edifici:

  • non devono essere danneggiati da terremoti di bassa intensità
  • non devono essere danneggiati strutturalmente da terremoti di media intensità
  • devono rimanere in piedi in caso di forti terremoti, pur subendo gravi danni

Quando si verifica un terremoto, il terreno si muove orizzontalmente e/o verticalmente, spingendo l’edificio avanti e indietro e causandone la deformazione. Se la struttura è flessibile, pur subendo gravi danni non crollerà. Un edificio può perciò subire danni strutturali, nelle parti portanti (pilastri, travi) e/o non strutturali, che non ne pregiudicano cioè la stabilità (camini, cornicioni, tramezzi). Il tipo di danno dipende da una molteplicità di fattori: la struttura, la sua obsolescenza, i materiali, l’ubicazione, la vicinanza ad altri edifici ed elementi non strutturali, oltre alla durata e all’intensità del terremoto.

In seguito a un terremoto, per valutare la vulnerabilità di un edificio è sufficiente ispezionare il danno causato, associandolo all’intensità della scossa. Ma sarebbe ideale condurre questa valutazione prima che l’evento si verifichi, per prevenire i danni operando interventi di riqualificazione antisismica. Questo tipo di indagine è però più complesso e si basa su metodi statistici e meccanicistici condotti da esperti.

Come individuare la vulnerabilità

Per intervenire su un edificio esistente con l’obiettivo di diminuirne la vulnerabilità sismica, aumentando al contrario la sua resistenza alle sollecitazioni verticali e orizzontali derivanti dalle scosse di terremoto, bisogna innanzitutto considerare il contesto in cui sorge. Dopo aver indagato l’esposizione sismica del sito, si inizia da un rilievo per ottenere la geometria dello stabile, la caratterizzazione dei terreni e quella delle murature, indagandone la qualità. Dai dati ottenuti, si stabilirà il grado di vulnerabilità dello stabile e di conseguenza le migliori modalità di intervento.

Esistono però, come si è detto, diversi modi di procedere con l’indagine in vista di una riqualificazione antisismica. I metodi statistici classificano gli edifici in base ai materiali e alle tecniche di costruzione, rispetto ai danni osservati in precedenti terremoti allo stesso tipo di edifici. Questa tecnica richiede ovviamente dati sui danni da terremoti passati, che non sono sempre disponibili e che non possono essere utilizzati per valutare la vulnerabilità dei singoli edifici perché sono di natura statistica e non specifica. I metodi meccanicistici utilizzano invece modelli teorici che riproducono le principali caratteristiche degli edifici oggetto di valutazione per lo studio dei danni causati da terremoti simulati.

Infine, alcuni metodi utilizzano pareri di esperti per valutare il comportamento sismico e la vulnerabilità di tipologie strutturali predefinite. Oppure per identificare i fattori che determinano il comportamento degli edifici e valutarne l’influenza sulla vulnerabilità. A seconda dei materiali e delle caratteristiche strutturali dell’edificio si potranno inoltre condurre analisi più specifiche: analisi visive o endoscopiche, carotaggi, prove chimiche, soniche o con georadar o ancora il monitoraggio dinamico.

Metodi di riqualificazione antisismica

Dalla recente evoluzione tecnologica vissuta dal settore edile è emerso anche un elemento costruttivo dalla duplice finalità. È il cappotto sismico, un involucro per la struttura dell’edificio che migliora sia la sicurezza sismica che l’efficienza energetica degli edifici già esistenti secondo gli standard individuati dalla normativa vigente. È composto da pannelli assemblati spesso abbinati all’utilizzo di armature in acciaio. L’importante è che i materiali utilizzati siano ecosostenibili, cioè che siano riciclabili e che il loro impiego crei pochi scarti.

Ma il cappotto sismico non è l’unico metodo di riqualificazione della struttura di un edificio in chiave antisismica. Tra gli interventi più diffusi ci sono:

  • la riduzione della deformabilità dei solai
  • il rinforzo dei maschi murari con reticoli cementati e pareti armate
  • l’introduzione di giunti sismici nelle pareti portanti o nelle fondamenta
  • l’introduzione di dissipatori antisimici che stemperano l’energia che il terremoto riversa sull’edificio e le conseguenti sollecitazioni che potrebbero far vacillare gli elementi strutturali
  • l’utilizzo di resine espandenti poliuretaniche che irrigidiscono il terreno e riducono così le oscillazioni della struttura oppure la loro iniezione in murature e intonaci per un consolidamento
  • la saldatura di crepe con barre di acciaio
  • la fasciatura con tessuti che impediscano spanciamenti e ribaltamenti

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