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Urban Mining: come trasformare i rifiuti in risorse

I rifiuti elettronici urbani diventeranno una miniera di materie prime grazie all’urban mining.

Nell’UE la maggior parte delle materie prime note come terre rare e dei metalli indispensabili per la fabbricazione di cellulari, computer, batterie e altri dispositivi elettronici, viene importata dall’estero. Oggi però questo genere di materie prime è sempre più scarso e costoso e non consente di coprire le richieste di un mercato in crescita. Mentre si lavora per aumentare la durabilità dei dispositivi e per educare la popolazione al riciclo e al riutilizzo, è dunque importante trovare altre fonti di approvvigionamento. L’Urban Mining consente di farlo, trasformando i rifiuti urbani in una miniera di cosiddette “materie prime seconde”. Ecco di che si tratta.

La crisi delle materie prime

L’urban mining è una risposta all’elevata richiesta di materie prime da parte di un settore importante per alimentare il progresso tecnologico. Si tratta dell’elettronica, che sta a sua volta diventando un tassello fondamentale in molti settori, dalla comunicazione all’energia, dall’edilizia ai trasporti. Gli smartphone, ad esempio, contengono fino a 50 metalli diversi. Le infrastrutture di energia rinnovabile, come i pannelli solari e le turbine eoliche, invece non possono essere costruite senza tellurio, gallio e neodimio. La durabilità contenuta dei dispositivi elettronici e la difficoltà nel riciclo delle terre rare di cui sono composti rappresentano però un’accoppiata deleteria dal punto di vista della sostenibilità. Causano infatti una richiesta sempre più elevata di materie prime presenti solo in minima parte in Europa.

Molte materie prime vengono dunque importate dall’estero – per esempio, il fornitore principale di materie prime critiche è la Cina. Una dipendenza rischiosa da molteplici punti di vista, soprattutto nel caso di materiali complessi da estrarre e da lavorare. Dipendere da altri paesi significa infatti essere molto più soggetti alla volatilità dei prezzi e alle difficoltà di approvvigionamento. Una condizione resa evidente e aggravata da fattori contingenti come guerre e disastri climatici, ma anche dalle crisi di altri settori come quello energetico.

Come ridurre i rischi? Aumentando la propria indipendenza, un’azione non semplice nel caso di materie prime che inevitabilmente non sono presenti nel proprio paese, come le terre rare. Ma una soluzione esiste ed è da ricercare nel raggio d’azione dell’economia circolare: l’urban mining, che riduce l’impatto ambientale delle industrie alimentando contemporaneamente il progresso tecnologico.

Cos’è l’urban mining?

Le terre rare sono raggruppate sotto questa definizione perché consistono in elementi chimici somiglianti tra loro e che sono poco presenti in natura. Nonostante la loro scarsità, sono però protagoniste della twin transition digitale e green, perché indispensabili per la costruzione di dispositivi elettronici intelligenti, dai display alle batterie, dai magneti ai radar, dalle turbine eoliche ai pannelli solari.

Come tali, la loro domanda – insieme a quella di altri metalli altrettanto rari e preziosi – crescerà in maniera esponenziale nei prossimi anni. Tutto ciò in un’epoca che si configura come particolarmente instabile dal punto di vista geopolitico e ambientale. Per farle fronte, è necessario trovare modalità di approvvigionamento alternative alla tradizionale estrazione mineraria e l’urban mining è tra le più promettenti. Si tratta infatti del recupero di materiali ancora utilizzabili dai rifiuti elettronici dismessi, che diventano così materie prime seconde, pronte per essere reimpiegate.

Un ottimo esempio di economia circolare applicata a un settore critico dal punto di vista ecologico, proprio a causa delle difficoltà nella gestione dei materiali. Basti pensare che oggi solo il 20% dei 40 milioni di tonnellate di RAEE che finiscono in discarica viene riciclato e che le tonnellate saranno 75 milioni nel 2030 e 120 milioni nel 2050.

I vantaggi dell’estrazione urbana

L’urban mining intercetta e risolve dunque diversi problemi, offrendo altrettanti vantaggi:

  • facilita il recupero di materiali che in natura sono poco concentrati
  • diminuisce la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento
  • aiuta a contenere la fluttuazione dei prezzi
  • riduce le pratiche di estrazione tradizionale, processi lunghi, difficili e inquinanti
  • incoraggia la circolarità in un settore – quello dei RAEE, appunto – che desta particolari preoccupazioni perché soggetto a una crescita esponenziale a fronte di una scarsa capacità di riciclo
  • offre ai produttori un’ampia scelta di materiali più semplici da ottenere

Recuperare metalli dai rifiuti industriali delle città significa perciò alleggerire la pressione dell’economia e dell’industria sugli ecosistemi, trovando finalmente un’alternativa sostenibile all’abuso di risorse non rinnovabili. Ma l’implementazione dell’urban mining dovrà andare di pari passo con un cambiamento radicale nelle modalità di produzione dei dispositivi elettronici, a favore di una maggiore durabilità, e di consumo, per incoraggiare il riutilizzo e il recupero.

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